Donne e memoria #3: Veronica

Terzo appuntamento con la rubrica "Donne e memoria". Ci spostiamo a casa di Veronica, per conoscere la sua storia

Bozza automatica 353

di Daniele Napolitano e Rebecca Rossetti / Foto degli autori

Una persona è sempre un po’ la sua casa, i suoi vestiti, il suo profumo. Questo mix è quello che offre Veronica Otano ai suoi ospiti. Sembra di entrare in una galleria d’arte nel centro di Buenos Aires, in una pasticceria del centro o in un fioraio. Un labirinto di stanze, quadri, libri e piante. Uno spettacolo insomma, nel quale con estrema pacatezza Veronica sussurra la sua storia.

L’arte lei ce l’ha nelle vene da sempre, ci è nata, le scorre dentro da generazioni e prosegue nelle vene della figlia, anche se con caratteristiche diverse. Ma neanche l’arte è permessa in epoca di dittatura, tutto viene ristretto o proibito. Il motivo è semplice: anche le forme d’arte sono spesso espressione di resistenza, di opposizione al regime e di contrasto a lo stesso. Quest’aria di tensione la piccola Veronica la viveva quotidianamente in casa, dato che praticamente tutta la famiglia, e gli amici, erano implicati in questo ambito. Soprattutto vennero presi di mira i cantanti, in quanto il loro linguaggio è sicuramente più diretto e comprensibile, o, dipende dai punti di vista, perfino pericoloso. Molti di loro, così come i simpatizzanti del partito comunista o di altri movimenti di “ribelli”, erano costretti a vivere nella clandestinità, privati in questa maniera della loro fonte di guadagno, la musica.

Tra gli amici vi era proprio una cantante argentina di folklore, Rosa, che, sempre a causa della dittatura, decise di lasciare il suo Paese per l’Italia, dove ancora vive, canta e milita.  Destino simile toccò al padre di Veronica, ovvero l’esilio, la lontananza confinata chissà dove. Entrambi sono gli esempi tangibili di come un cuore creativo e militante difficilmente si riesce a farlo tacere, ma anzi continua a dare i suoi frutti anche a distanza di molti anni.

È probabilisticamente molto raro incontrare una persona che non abbia almeno un amico, conoscente o famigliare che venne sequestrato, o poco gli mancò, durante gli anni della dittatura. I militari dubitavano di tutti, anche senza uno stralcio di prove, anche solo per un modo di camminare per strada che non li convinceva. Era così facile che dubitassero di una persona alla stessa maniera di quanto era difficile che infine se ne uscisse vivi. Lo Stato si era talmente infilato nella vita delle persone che si dubitava anche di se stessi a furia delle percosse che si ricevevano se si aveva la sciagura di finire in uno dei centri di detenzione sparpagliati per il Paese.

Donne e memoria: Veronica 1

La dittatura toccò intere generazioni dai 18 ai 40 anni più o meno, ma le altre non rimasero comunque intoccate. La sparizione di una persona era come una pugnalata alla famiglia intera e a tutta la sua cerchia di amici e compagni. Sono molteplici pugnalate che servono per terrorizzare e arretrare chiunque altro abbia in mente di prendere parte alla resistenza. Eppure poche volte rimanevano dei casi isolati, sembra quasi venisse fuori l’effetto contrario, quello di maggiore lotta. Veronica era davvero troppo giovane quando intorno a lei scappavano uomini e donne o quando veniva sequestrato suo cugino, per esempio.

A stenti ricorda il volto del padre, ma viceversa ne ricorda le lotte, le fughe e infine la sparizione. Da quel momento, sia di lui che della compagna incinta, ebbero solo vaghe e sporadiche notizie. È un altro nome che si aggiunge alla lista interminabile di desaparecidos, è l’ennesima storia che, chissà, giungerà al termine solo una volta risolto ogni quesito riguardo alla sua presunta sparizione per mano dello Stato. Un’altra madre di Plaza de Mayo, altre lacrime e altre sofferenze accomunate da un senso di impotenza. Nostalgia impotente la chiama Veronica, o la si accetta o ne vieni schiacciato.

Un aspetto alquanto strano di questa vicenda è che il neonato si salvò e venne affidato alla sorella della madre invece di destinarlo, come in moltissimi casi, alle famiglie dei militari, facendone scomparire ogni traccia. Marina, la figlia dei due sequestrati, ha avuto dei contatti con il padre fino al suo primo anno di vita, sempre di nascosto ovviamente. Dopo, il nulla. Di quest’uomo non si hanno mai più avute informazioni, nessuno lo ha più visto e forse sarà finito nei centri di detenzione clandestini, dai quali in pochi riuscirono a salvarsi.

I nati in Argentina tra il 1973 e il 1983 nascono già con un dubbio enorme riguardo alla loro identità. Potrebbero essere figli o figlie di desaparecidos adottati ingiustamente da altre famiglie e privati dei loro genitori naturali. Fu una vera e propria appropriazione illegittima i cui effetti sono ancora evidenti. Infatti sono molti gli uomini e donne che, nati in quegli anni, hanno donato il loro DNA alla ricerca per il recupero dei corpi e dell’identità delle migliaia di argentini ammazzati dal regime. Stanno ancora aspettando di ritrovare la loro appartenenza a persone diverse da quelle che li hanno cresciuti. Alcuni di loro, nonostante i dubbi che li assalgono, preferiscono rimanere all’oscuro di tutto e non conoscere la verità sulla propria identità.

Donne e memoria: Veronica

Sono una serie di flash impressi nella mente di quella che un tempo era una bambina, molto sveglia, che per istinto ha seguito le orme dei suoi cari. Le è faticoso ricordare il momento in cui ha scelto la sua strada, in cui si è avviata nel mondo dell’arte e soprattutto non ha mai esitato a intraprendere questo cammino, neanche davanti alle violenze perpetuate nei confronti di numerosi artisti. Per sua fortuna ha schivato, grazie alla giovane età, gli anni di pieno totalitarismo, vivendo invece in toto il periodo post-dittatura, per alcuni aspetti più problematico del precedente perché si porta dietro rabbia, abbandono e depressione. Ci sono delle fratture sociali che a fatica si riescono a ricostruire. Quando si nasce con una tirannia autoritaria che governa per anni il proprio Paese, la libertà sembra fragilissima, quasi un miraggio. Nessuno ti dà la certezza che quell’orrore non possa più tornare. Quindi continuava ad essere un tempo di transizione, in cui qualsiasi proposta di cambiamento sembrava un attacco alla delicata democrazia.

In questo contesto, in cui tutto si regge su deboli equilibri, che vanno ancora e costantemente rafforzati, essere artista significa non essere né uomo né donna, è essere artista. Vive, sente e riproduce il periodo storico-politico rispettando ciò che la propria creatività gli/le propone. Proseguendo in questa direzione anche tutta l’altra gente deve accendersi e reazionare con i propri mezzi per dare una risposta alle ingiustizie che le avvengono attorno, nessuno dovrebbe rimanere indietro.

I fatti attuali che riguardano il Cile, la Bolivia, il Brasile e molti altri sono il chiaro esempio di come non possiamo mai assopirci, di come ogni linguaggio, metodo espressivo e quant’altro rimane utile per ravvivare sempre le menti, per sfidare la realtà a volto scoperto. Abbandonare la lotta, espressa attraverso i più disparati canali comunicativi, significa dichiararsi assenti e ciechi. Le opere di Veronica, come lei stessa afferma, sono presumibilmente il risultato incosciente della vita che l’ha trapassata, raggirata e toccata. Non riesce a definire bene quel filo diretto che connette le sue sculture alla fonte di ispirazione, ma di sicuro c’è, ed è custodito nell’inconscio. È una vocazione in movimento.