di Daniele Napolitano e Rebecca Rossetti / Foto degli autori
Quanti passi avrà già compiuto e quanti ancora ne compirà Nora Cortinas attorno alla statua al centro di Plaza de Mayo, a Buenos Aires. 1, 10, 1000, forse proprio 30.000 passi al mese, tanti quanto i desaparecidos dell’ultimo regime dittatoriale in Argentina. Sono passi decisi, prima carichi di vigore grazie alla giovane età ed oggi sempre più logorati dal tempo, lenti ma pur sempre determinati. Così come sono determinate le altre compagne che la accompagnano da ormai tantissimi anni, ogni giovedì, durante questa marcia. È una marcia della verità, è un corteo che settimanalmente ricorda allo Stato argentino la necessità di fare giustizia e ricevere la verità sopra le morti dei loro figli e figlie scomparsi durante la dittatura.
Norita è la madre del desaparecido Gustavo Cortinas e la referente del gruppo delle Abuelas de Plaza de Mayo, la linea fondatrice, ma oltre a questo è molto di più. È una anziana signora che giornalmente partecipa alle lotte dei lavoratori e lavoratrici argentine per tutto il Paese, che dà il suo sostegno a coloro che cercano di fare luce su numerosi casi di sparizione in America Latina, appartenenti al passato e purtroppo anche al presente.
È sempre attiva Norita, non perde alcuna occasione per dimostrarsi a fianco delle più disparate cause, chissà se forse questa carica è dovuta anche all’energia che hanno tolto a suo figlio a forza di botte e di cui lei si è riappropriata attraverso le proteste. O forse perché ha trasformato l’enorme dolore per la sparizione e supposta morte del figlio Gustavo in amore per la militanza. È sempre impressionante incrociare una donna a cui hanno ucciso il figlio, a cui lo hanno sequestrato e che da un giorno all’altro non potrà più abbracciarlo. È ancora più straziante quando la causa della sparizione è la sete di libertà, di difesa dei diritti di tutti e di manifestazione del proprio pensiero. Norita ha raggruppato tutte le sue forze e continua a spenderle per far sì che sempre prevalga la giustizia sociale.
Se i generali dell’esercito di Videla avessero saputo con che tipo di donne si sarebbero scontrati, chissà se avrebbero agito alla stessa maniera. È stato un boomerang, convintissimo del cammino intrapreso. Prima da fuori legge, in quanto ogni forma di protesta era severamente vietata sotto dittatura, ed ora paladine della legge stessa, che prevede il diritto di far giustizia sui detenuti e sui morti dell’epoca di Videla. Sono le Antigone dei giorni nostri, contro tutti e tutto protestano per dar degna sepoltura a quello che rimane dei corpi dei loro figli. Questo rimane solo un sogno, una grande speranza inesaudita se i generali ancora in vita, gli stessi autori di quegli omicidi, non testimoniano l’accaduto. Non può avvenire neanche se le risorse investite nella ricerca non sono sufficienti. Dalle sparizioni di giovani studenti e militanti è nato un movimento che non si arresta. Di una cosa sono certe, la battaglia delle abuelas non vedrà alcuna rassegnazione, è un’impotenza trasformata in energia. Non riusciranno a cancellare davvero dalla storia i nomi di nessuna delle vittime.
Le Abuelas di Plaza di Mayo, così come molti altri individui della società civili, sono assaliti dai nomi, ci fanno i conti e esigono verità per ognuno di loro singolarmente. Le tracce lasciate da queste vite spezzate violentemente dalla brutalità di un regime autoritario non sono state mai del tutto eliminate. Sono stimoli ad avere coraggio e continuare nella ricerca e nella difesa dei propri ideali.