Donne e memoria #4: Pato

La storia di Pato l'insegnante lottatrice di Buenos Aires nel quarto appuntamento con la rubrica

Donne e memoria #4: Pato

di Daniele Napolitano e Rebecca Rossetti / Foto degli autori

Impossibile non notarla, è facile fare caso a una donna che emana così tanta energia. Basta uno sguardo per intendere il suo orientamento politico e ideologico perché ogni parte di lei esprime fierezza nell’essere donna, femminista e libera. In lei si impersona esattamente la figura della donna argentina che oggi sta luchando. La lotta è un attributo della sua personalità, la strada e la scuola sono i luoghi dove questa lotta si manifesta.

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Pato è infatti un’insegnante nel quartiere Villa 21-24, dove “villa” si riferisce ai quartieri (barrio) più poveri della città di Buenos Aires. È l’espressione di chi il lavoro lo prende come un compito morale e come palestra di resistenza. Una mina che esplode in difesa dei diritti di tutte e tutti.

Lei si sente donna tra le donne, sente forte questa relazione con il resto del movimento internazionale femminista, tanto da sentirsi orgogliosa quando, davanti al Colosseo, vede lo striscione di Ni Una Menos. È come ritrovare una parte di se stessa dall’altra parte del mondo, questo accade a chi condivide la stessa battaglia.

L’Argentina paga ancora oggi la sparizione di due generazioni di donne attiviste e politicamente di sinistra con la privazione di alcuni diritti fondamentali, come per esempio l’aborto libero, gratis e sicuro. Pato sostiene che sia necessario rigenerare la mentalità comune ora, è arrivato il momento per farlo e non si hanno più scuse.

Nonostante non sia mai venuta a conoscenza di una serie di tematiche politiche, sociali e sessuali a causa della dittatura, che durò fino ai primi anni dell’adolescenza, con il passare del tempo Pato intese che il suo cammino era quello della militanza. Quando crescono ideali così resistenti è difficile contrastarli o metterli a tacere. La stessa militanza la associò facilmente alla sua passione professionale, la pedagogia, ed è qui che cominciò il suo percorso, che la portò ad essere ciò che è adesso, in continua mutazione.   

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Il concetto di pedagogia a cui fa riferimento è ovviamente politico. Essere maestra o maestro è una militanza politica in classe, in cui continuamente si prendono delle decisioni che rispecchiano un dovere politico, associato all’insegnamento. Non è lo stesso scegliere di spiegare alcune cose e non altre, far ascoltare una canzone invece che un’altra. È eccitante poter dire che non esiste un luogo più politico di un’aula. Arriva così ad affermare che l’educazione è una maniera di liberazione.

Inclusività è una delle parole chiavi del suo discorso, si intende in toto. È il valore che insegna ai suoi studenti, insieme a quello del rispetto. Una della tematiche che le stanno più a cuore, che riguardano proprio l’inclusione e il rispetto, è il tema della sessualità e il genere. È impensabile assegnare autoritariamente il genere a un bambino o bambina (già la lingua italiana in questo ha una grande limitazione, che invece in spagnolo è stata superata con il genere neutro).    

Ama la borgata. Non sarebbe possibile lavorare lì con questa energia se non l’amasse veramente e se non considerasse ogni alunno alla pari dell’altro. Prima di insegnare nel barrio devi imparare cos’è, con tutto l’insieme di complessità che si possono incontrare quando, per esempio, si deve dialogare con i narcos perché sono i genitori dei propri alunni. È un mondo rovesciato, dove i bambini sono abituati a vedere la droga, i soprusi della polizia e gli spari, non si stupiscono davanti a questo. Rimangono invece meravigliati quando, tra i banchi di scuola, imparano l’equità, la condivisione e la bellezza. La scuola li sfama prima di insegnar loro qualsiasi cosa, perché prima di essere alunni sono bambini con esigenze basilari che non possono mancare.

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Abbattere la stigmatizzazione della povertà, la poca autostima e ridare vita a voglie e passioni aiuta a mettere in marcia il quartiere, creando associazioni di donne, corsi per lavoratori e lavoratrici, ravvivando la coscienza comunitaria che permette di tenere accesa una speranza per il futuro dei più piccoli. Non è una colpa essere nato a Villa 21-24, non può neanche diventare una condanna. Perfino il taxista si rifiuta di accompagnare gli abitanti di questi quartieri fin dove gli viene richiesto, così come un datore di lavoro evita di assumere gente di tale barrio. È la dimostrazione che il resto della società non ha occhi veri con cui guarda la realtà ma piuttosto è profondamente suggestionata dal pregiudizio diffuso riguardo a questa gente. Non è anche questa una barriera? Ecco perché Pato dice che “si può giocare a fare la rivoluzione”, per abbattere quelle barriere.

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Uno di quei muri è anche interno, perché domina pure una visione “pitocentrica” della coppia e delle relazioni sessuali. A tale concezione dei rapporti uomo-donna di dominazione-subordinazione va messo un freno ora. Non a caso Pato è per di più una ballerina di tango dissidente, ovvero dove la coppia non è etero, bensì composta da qualsiasi tipologia di genere. È una maniera di scardinare il classico schema in cui è l’uomo a conquistare la donna e condurla nella danza, a lei spetta solo il compito di seguirlo. Non solo il ballo è dissidente ma anche le canzoni, infatti si abbandonano i testi maschilisti di una volta per essere sostituiti da voci di donne che cantano di un ballo passionale ma equo e rispettoso.

Sentirsi connessa a tutto il movimento femminista dà singolarmente la forza ad ogni donna di difendere se stessa e le altre, a metterci la faccia per lasciare inteso che non è un gioco da sottovalutare. Sono volte a demolire qualsiasi pensiero che le considera solo come corpi riproduttori, privi di piaceri, il cui incarico è quello di essere madri. Sono disposte a non fermarsi ma, al contrario, a moltiplicarsi. I segni delle battaglie sono i panuelos verdi (simbolo delle proteste per la legalizzazione dell’aborto), consumati dal tempo e dalle innumerevoli manifestazioni che continuano a organizzarsi per le strade e piazze di Buenos Aires, alle quali Pato non riesce a fare a meno di partecipare.

Cosciente di star combattendo una battaglia che durerà ancora a lungo, fa tesoro della lunga esperienza come attivista per non soccombere ad un sistema che vuole fare apparire lei e le sue compagne come streghe violente e mestruate. Determinate, questo è il termine più adatto.