Donne e memoria #2: Beti

La storia di Beti, pittrice argentina e con una sua visione delle contrapposizioni di genere. Secondo appuntamento con la rubrica "Donne e memoria"

Donne e memoria: Beti

di Daniele Napolitano e Rebecca Rossetti / Foto degli autori

Non importa se fuori ci sia vento e pioggia, o sole e tanto calore. Non è importante neanche il traffico e il caos della metropoli, nella casa di un’artista di Buenos Aires si sente solo l’odore di tinta, di colori e il calore del mate. Immancabile, è socialmente vietato avviare una qualsiasi conversazione con uno straniero se prima non gli si offre un po’ di buon mate, giusto per farlo sentire meno forestiero. Così avviene anche a casa dell’artista Beti Alonso, donna riservata e silenziosa, pittrice alla quale è dura tirar fuori troppe parole. Lei parla con le sue opere, sono le mille tele che riempiono la sua casa a raccontare chi è. Certo è che il mate sicuramente favorisce almeno un po’ a sciogliere l’imbarazzo che si crea tra perfetti sconosciuti, seduti intorno ad un tavolo e arrivati da chissà dove per via di un’altra donna, anche lei argentina, Rosa, che da Roma li ha incitati a non lasciare il suolo argentino senza prima aver incontrato Beti. Tra un sorso e l’altro, tra da una parte riscaldare l’ambiente e dall’altra mantenerlo autentico, è lei stessa ad intrufolarsi nella sua storia, per raccontarne gli ideali che l’hanno motivata e gli eventi che ne hanno segnato i passaggi. L’arte per Beti è una maniera di ricevere affetto.

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Fu il primo modo con cui i suoi genitori, gente estremamente umile e appartenente alla classe operaia, riuscì a riconoscerle di saper fare qualcosa. Fu anche l’occasione per conoscere Rosa, la quale si avvicinò all’artista con estrema voglia di conoscere più a fondo le sue opere e il talento che vi era dietro. Intese fin da subito l’affinità che vi era fra lei e quell’argentina che vive dall’altra parte del mondo, due donne che non si sono mai incontrate di persona ma che attraverso i lavori che svolgono hanno scoperto di conoscersi molto più di quanto a volte può dare una amicizia vissuta nella quotidianità di tutti i giorni. Il loro linguaggio di comunicazione è la pittura, le sue infinite forme di espressione e la forza irrompente con la quale riesce a creare empatia fra persone anche così lontane nello spazio. Beti rimaneva impressionata e affascinata dalle chiamate di Rosa, ulteriore segnale di sincero interesse dell’una verso l’altra, di donne di altri tempi. È una cosa che non si usa più fare, eppure dove non si arriva con il contatto e l’incontro faccia a faccia, si può arrivare un po’ più vicini con la voce, le parole. È una mutua relazione di condivisione di complimenti, stimoli e passioni. Oltre che di regali, che viaggiano attraversando l’Oceano per entrar a far parte della magica atmosfera che si respira a casa di Beti, così come a casa di Rosa nell’emisfero opposto. Inoltre la pittura di Beti esce completamente dagli schemi usuali e classici diffusi nel Paese, tant’è che si definisce addirittura non-pittrice. Non si dedica a esposizioni, raramente lavora per commissione.

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Ciò che maggiormente colpisce sono i ritratti di uomini e donne per cui prova profonda stima. Carica i volti di colori, di espressioni e di personalità, realisticamente surreali. È tanto più probabile ricevere in regalo un lavoro di Beti piuttosto che comprarlo. Suo padre iniziò a regalare le sue opere quando lei era ancora piccola e questo le rimase impresso come forma di condivisione: condividere con l’altro quel che di più caro si possiede. Così facendo crebbe anche la sua autostima, comunque fondata sulla consapevolezza che “nessuno è un genio o tutti lo siamo”. Lo spirito peronista è molto forte in lei, la trascina indietro negli anni quando era ancora possibile parlare di puro peronismo. La sua azione politica continua a manifestarsi attraverso l’insegnamento dell’arte a coloro che vengono dopo, divulgando ciò che apparteneva a quelli che venivano prima. Questo atto lo considera come un’arma valorosissima. Una persona è politicamente ciò che è quotidianamente, non esistono compromessi. La sua visione in parte estrema della politica la portò a lasciare il Ministero della Cultura durante il governo dell’ormai ex-presidente Macri. Si rimane leali con se stessi se non si cede il proprio impegno e lavoro al nemico, non se lo riuscirebbe a perdonare. Tale convinzione e le conseguenze che ne derivano sono per Beti un orgoglio.

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È una donna decisa Beti, una persona che vive molto la sua solitudine e la sua arte più per dare sfogo a se stessa che per mostrarsi al mondo. Per questo motivo la questione di genere non l’ha mai sfiorata. Riconosce che probabilmente se avesse gareggiato in concorsi artistici, l’essere donna sarebbe stato un punto a suo sfavore, con un peso maggiore di quello assegnato ai suoi capolavori. Questa situazione, come tante altre, si presenterebbe perché nella società argentina (ma purtroppo anche in molte altre) persiste una certa venerazione dell’uomo, come più capace e affascinante. Ha sempre evitato questa rivalità con il resto del mondo, in parte le ha permesso quindi di non soffrire quel sentimento di inferiorità che provano molte donne sul posto di lavoro. L’arte non è fatta per competere, per spiccare sopra agli altri, non è uno sport. Attraverso questa maniera di agire, ma soprattutto di pensare, confessa di non aver mai accumulato grandi fortune ma bensì gente molto valorosa.