Di redazione WJ e Pasquale Pagano / Foto di Ginevra Abeti, Helga Bernardini, Danilo Garcia di Meo, Renato Ferrantini, Giulia Gorla, Luca Greco, Andrea Mancuso, Marcus Sotto Corona, Paola Tarroni e Peter Zullo
Un weekend all’insegna dell’antirazzismo tra Roma, Bologna e Milano. L’ennesima morte di un ragazzo di colore negli Stati Uniti, George Floyd, a opera di un poliziotto, ha riaperto una ferita mai del tutto sanata. Il razzismo, in quello che è stato definito da sempre il Paese della libertà e dei sogni realizzabili, mostra ancora il suo lato più crudele. L’immagine degli States torna a incrinarsi e tutti i valori che da sempre sono stati sbandierati in giro per il mondo dalla diplomazia e dalla retorica vengono meno di fronte alla realtà dei fatti. Il razzismo c’è eccome e permea profondamente la società. La soluzione al problema sembra lontana e il simbolo di questo scostamento tra “bianchi” e “neri” è la palizzata che il presidente Donald Trump ha alzato intorno alla Casa Bianca per paura delle proteste. L’arrocco scacchistico del Tycoon mette ancora di più l’accento sulle divergenze della società americana. In tutto il Paese sono esplose proteste durissime, soprattutto a Minneapolis, città dove è avvenuto l’ennesimo omicidio ai danni di un giovane afroamericano. Ma si è manifestato anche altrove e in Italia si sono mobilitate Roma, Bologna, Ferrara, Torino, Genova, Pisa, Firenze, Salerno, Napoli, Campobasso e Milano con migliaia di persone in piazza.
Bologna
Con mascherine e a distanza di sicurezza, inginocchiati prima in silenzio poi, intonando “Hell you talmbout”. In questo modo in migliaia di persone, a Bologna, hanno ricordato George Floyd l’uomo afroamericano di 46 anni ucciso il 25 maggio da Derek Chauvin, durante un controllo di polizia a Minneapolis. In particolare “Hell you talmbout” è una canzone di protesta scritta nel 2015 del collettivo di cantanti guidati da Janelle Monaè. Il titolo della canzone è l’abbreviazione di “ what a hell are you talking about” (di cosa diavolo parlate? ndr) ed è un lunga lista di nomi di afroamericani morti per mano della polizia. Il flash mob è stato organizzato dal circolo Arci Ritmo lento, un crocevia di attivismo ambientale, politico, studentesco, molto attivo durante la fase di pandemia con l’iniziativa Dont’ Panic. All’evento hanno aderito in massa diverse realtà, da Coalizione Civica a Refugee Welcome Italia, da associazioni lgbtq+ a movimenti ecologisti. L’iniziativa si inserisce in una lunga lista di mobilitazioni simili in tutta Italia. In questa “nuova normalità” anche i flash mob sono cambiati e si sono adattati. Innanzitutto, distanza di sicurezza: il crescentone della piazza è stato segnato da “x” distanziate tra loro per segnare i posti. In secondo luogo: le mascherine. Il dpi di cui non possiamo più fare a meno è diventato anche uno strumento di protesta, infatti gli organizzatori hanno invitato i partecipanti a scrivere sulle mascherine “say their names” (dite i loro nomi). Una frase scritta per rompere il silenzio che avalla condotte e pratiche da parte della polizia americana deliberatamente razziste. La frase è ormai iconica e ha sostituito il celeberrimo “black lives matter”, che è diventato l’hashtag utilizzato dagli attivisti in Usa durante le proteste per scambiarsi comunicazioni importanti.
Il flash mob è stato organizzato per dare risalto alle violenze sistemiche dei poliziotti Usa contro gli afroamericani, ma ha avuto come obbiettivo più grande quello di riconoscere “il privilegio sociale che anche nella nostra società avvantaggia le persone bianche”, si legge sulla bacheca dell’evento. Insomma, un flash mob di solidarietà ma anche di denuncia di una situazione che coinvolge anche il nostro Paese, infatti le attiviste e gli attivisti precisano: “Ci interessa mostrare la nostra solidarietà alle mobilitazioni americane, ma bisogna espandere il fronte di indignazione nei confronti del razzismo che impera anche nel nostro paese.”
Durante l’evento, andato avanti per più di due ore, davanti ad una folla variegata all’open mic, si sono iscritti a parlare moltissimi esponenti della società per testimoniare con le loro storie che anche qui da noi il razzismo è un virus difficile da debellare. Una ragazza figlia di senegalesi, nata in Italia e ancora in attesa della cittadinanza; un ragazzo rifugiato che difficilmente è riuscito ad integrarsi. Storie di emarginazione e sfruttamento. Sono state ricordate le vittime sconosciute dei naufragi del Mediterraneo, le vittime del caporalato, tra tutti Soumayla Sacko, di cui campeggiava una foto in piazza.
Insomma, un’enorme e toccante manifestazione che ha ricordato che il razzismo esiste anche in Italia e che sempre si accompagna con la negazione di diritti fondamentali. Una necessità per la società civile è quella di unire le diverse lotte, accomunate dallo sfruttamento delle vite umane. Nei diversi interventi dal palco è riecheggiata la volontà di costruire anche a Bologna un grande fronte contro il razzismo, una speranza per il futuro in tempi di ripresa della socialità.
A Milano
Nel capoluogo meneghino la manifestazione si è svolta nella piazza antistante la stazione centrale ed è stata organizzata da “Razzismo brutta storia”, associazione contro “tutte le forme di discriminazione, e “Abba Vive”, il gruppo nato per ricordare il 19enne ucciso nel 2008 a Milano da un negoziante al quale aveva rubato un pacco di biscotti. In tanti hanno mostrato cartelli con scritto “No justice no peace” andando fin sotto il consolato Usa in via Principe Amedeo. Sono stati circa un migliaio i presenti in piazza.
A Roma
Domenica mattina ore 11.00, nella storica Piazza del Popolo, uno dei luoghi turistici più frequentati di Roma, stavolta tanti giovani e non si sono riuniti per manifestare in un unico coro. Con le mascherine in volto e il rispetto del distanziamento sociale, grazie a segna posti che l’organizzazione ha diligentemente preparato nella mattinata prima dell’arrivo della folla, la mattinata è trascorsa pacificamente tra slogan, musica e tanti interventi di esponenti che hanno testimoniato e sensibilizzato al tema del razzismo. Per ricordare la morte di Floyd, 8 minuti di silenzio, dove tutta la piazza si è inginocchiata in segno di rispetto.
Politici, attori, scrittori e giornalisti ma soprattutto attivisti della società civile, ragazzi e famiglie per dire no al razzismo. Centinaia di persone che hanno colorato la piazza con cartelli e striscioni con scritto “No Justice, No Peace”, “I Can’t Breathe”, “Stop Racism”. Tra i promotori della manifestazione romana Women’s March Rome, il movimento delle Sardine, il gruppo ambientalista Extinction Rebellion Rome International, i Fridays for Future Rome di Greta Thunberg, gli U.S. Citizens for Peace and Justice, e i Giovani Europeisti Verdi.
Ferrara
Federico Aldrovandi è morto come George Floyd. Con il ginocchio che premeva sulla schiena. Con un grido inascoltato di aiuto.Con questo spirito, sabato, Ferrara ha manifestato per chiedere verità e giustizia. Per Floyd, per Aldro, per Cucchi e per tutti e tutte.
I can’t breath
Tutto è successo il 25 maggio 2020 a seguito di un fermo da parte di un gruppo di agenti di polizia. Floyd, come prassi da parte della polizia statunitense, viene ammanettato e messo a terra con un ginocchio sul collo. Manovra quella dell’agente Derek Chauvin che risulterà fatale. Le parole “I can’t breath”, pronunciate da Floyd poco prima di morire, diventeranno virali anche grazie a una serie di video postati su internet da parte di alcuni testimoni. In pochissime ore si accendono proteste dapprima in tutta la città di Minneapolis, luogo dell’omicidio, poi in tutto il resto del Paese.
Le manifestazioni si sono svolte pacificamente anche se in qualche occasione si sono verificati scontri e cariche degli agenti in antisommossa. La procura, anche valutando i video che sono circolati su internet, hanno dapprima accusato Chauvin di omicidio colposo, per poi tornare sui suoi passi e cambiare l’imputazione in omicidio volontario. Sono seguiti quindi gli arresti di Chauvin stesso e dei suoi tre colleghi lì presenti per complicità.
L’ondata di proteste, tuttavia, non si è fermata per chiedere giustizia. L’evento ha riacceso gli animi di quelle minoranze che troppo spesso sono state e sono tutt’ora oggetto di una violenza sempre più reiterata da parte degli agenti di polizia. Un esempio su tutti è stata l’aggressione a un manifestante 75enne (tra l’altro bianco) nella città di Buffalo che è stato spintonato a terra da un poliziotto durante una manifestazione. Risultato: trauma cranico. Nel corso dei primi dieci giorni di protesta sono morte dieci persone e oltre 10 mila sono state fermate in tutti gli Stati Uniti.
Intanto l’American Civil Liberties Union, una delle principali organizzazioni americane per la difesa dei diritti civili, e Black Lives Matter hanno deciso di fare causa contro il presidente Trump e il suo ministro della Giustizia William Barr per aver violato i diritti costituzionali dei manifestanti fuori la Casa Bianca a Washigton per l’uso di lacrimogeni e proiettili di gomma d parte delle forze dell’ordine.