Cosa rimane dei diritti Lgbtq durante la crisi da Covid-19

Quanto inciderà la pandemia da nuovo coronavirus sui diritti civili? Più di quanto si immagina se osserviamo cosa è avvenuto in Ungheria. E l'Italia non è esente

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Di Alessio Chiodi / Foto di Valeria Altavilla,
Vittorio Giannitelli e Andrea Mancuso

Le restrizioni imposte dal Governo hanno messo il Paese in pausa. Una sensazione surreale quasi inspiegabile. Improvvisamente sembra che tutto ciò che non riguardi l’emergenza sanitaria sia scomparso. La pandemia da Covid-19 ha gettato tutto il mondo in un limbo di impotenza e quasi fantascienza. Tuttavia il mondo va avanti o, in certi casi, torna addirittura indietro, soprattutto quando parliamo di diritti civili. Il mantra “sicurezza nazionale” mostra in queste circostanze il lato più turpe del suo significato. Con la scusa dell’urgenza e del benessere della nazione sopraggiunge un disinteresse (quando va bene) per ciò che riguarda temi considerati di secondo piano dalle alte sfere della politica internazionale.

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Vittorio Giannitelli

C’è poi chi approfitta del tutto per incamerare su di sé pieni poteri per dirigere “meglio” l’orchestra statale e portare avanti interessi che spesso e volentieri calpestano l’universalità dei diritti. Su tutti? Viktor Mihály Orbán, dal 2010 primo ministro in Ungheria. Nazionalista e sovranista di ferro, Orbán il 30 marzo 2020 ha avuto il benestare del Parlamento per avere poteri eccezionali rinnovabili senza limite. Potrà quindi governare per decreto e potrà esautorare il Parlamento stesso alla bisogna. In aggiunta a ciò, pochi giorni dopo il capo del governo ha annunciato un’ulteriore stretta in tema di diritti civili dichiarando che non sarà più possibile alcun cambio di sesso e che il dato all’anagrafe segnato alla nascita non sarà più modificabile.

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Valeria Altavilla

Un piano a lungo ponderato

Porpora Marcasciano, presidente del Movimento identità transessuale (Mit) ha le idee chiare in merito: “Orbán stà mettendo in pratica un piano programmato già da tempo sia da lui che dai diversi sovranisti in carica. Orbán è quello più aggressivo, un apripista a cui potrebbero accodarsi altri Paesi e altri leader legittimati dalla situazione di crisi. Di solito le situazioni di crisi o le guerre hanno una loro retorica che mette al centro alcune priorità legate alla sopravvivenza a scapito di diritti, cultura, libertà. Purtroppo si è venuta a creare una grave situazione a livello mondiale che se non governata potrebbe sfociare in aggressività populista che, la storia ce lo insegna, neutralizza la complessità azzerando i diritti. La cosa non mi stupisce perché era chiara da tempo, visto che Orbán ha cominciato a non raccogliere le raccomandazioni europee, a non riconoscere le comunità Rom e Ebraica e a stringere sulla chiusura verso i migranti. Ora la rilettura delle questioni trans mi sembra che non manchi nulla per definirsi nazista”.

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Valeria Altavilla

Possibile emulazione?

Marcasciano teme che il premier ungherese possa essere un apripista. In Europa, soprattutto nell’est, sentimenti affini a Budapest stanno diventando sempre più preponderanti. Polonia, Slovenia, Croazia, Slovacchia, ma anche il Brasile in Sud America con il suo presidente Jair Bolsonaro. “Non è un caso che tutti i Paesi elencati e altri ancora erano presenti con rappresentanti istituzionali al convegno della famiglia svoltosi lo scorso anno a Verona contro il quale scesero in piazza migliaia di persone”, prosegue Marcasciano. “Negli anni le destre estreme hanno continuato a crescere e a legittimarsi all’ombra delle democrazie e della loro più o meno voluta distrazione. Non è un caso che sia stata scelta Verona come sede poiché è la città che ha fatto da culla ai peggiori fondamentalismi, che ha leggittimato il connubio tra destre e religione, dove i gruppi neoazisti agiscono indisturbati da anni. Eppure ci sono stati e ci sono movimenti che denunciano questa deriva che sono fatti passare per antagonisti e provocatori. Faccio l’esempio a me più vicino, quello di “Facciamo Breccia” un movimento abbastanza ampio nell’area Lgbtq e femminista che dal 2005 al 2020 ha denunciato tutto ciò, venendo però criminalizzato dalle lobby mainstream gay”.

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Andrea Mancusa

La situazione in Italia

Il nostro Paese non è esente da tutto ciò. Anzi. In questa situazione l’impossibilità di scendere in piazza, manifestare e portare avanti pubblicamente delle iniziative complica e non poco l’attività delle associazione e dei movimenti pro Lgbtq. “Ne siamo certi, perché la storia ce lo dice. I nostri diritti, i bisogni, le problematiche non sono prioritari. Non lo erano prima, figuriamoci adesso. Quelle che sconta la comunità Lgbtq è la mancanza di propulsione interna perché dalla metà degli anni ottanta si è adottata la politica della delega: si aspettava che fosse il politico di turno a dare le risposte. In questo modo abbiamo smesso di essere un pungolo per la politica e abbiamo perso lo spirito della lotta”.

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Andrea Mancuso

Il discorso è molto ampio e tocca nel profondo la letargia che ha colpito, secondo Marcasciano, i movimenti italiani. “Dopo aver ottenuto la legge sulle unioni civili, attesa da trenta anni, il movimento si è arrestato, quasi che non avesse più rivendicazioni. Questa stagnazione è pericolosa – prosegue Marcasciano – perché a essa corrisponde la crescista delle politiche e delle logiche fasciste. Il movimento Lgbtq accusa una grossa frenata legata all’assenza di contenuti ed elaborazione politica, a un diffuso qualunquismo che non permettono di costruire risposte proporzionate alle tendenze in atto. Bisogna rivedere la nostra idea di lotta e di resistenza, riadattarla ai tempi”.