Intervista a Stefano Corso

Chi è Cufter? Sessantacinque cassette di legno rimaste dimenticate e nascoste per decenni, al loro interno migliaia di negativi su vetro che ripercorrono l’Italia dei primi del ’900. Un’immenso patrimonio dimenticato riportato alla luce dal lavoro di ricerca di Stefano Corso con il suo libro "Chi è Cufter?"

di Sara Rota

Una chiacchierata con Stefano Corso sul libro “Chi è Cufter?”, un lavoro durato sei anni e poco meno di settemila negativi che racconta l’Italia nei primi tre decenni del Novecento da una prospettiva mai vista prima.

Stefano Corso è un fotografo professionista che nel maggio del 2022 pubblica Chi è Cufter edito da Castelvecchi; il titolo del romanzo è anche la domanda che ci si pone in continuazione mentre si guardano le foto di questo misterioso irredentista triestino. Nel libro sono presenti tutti le fasi della ricerca sull’archivio ritrovato e sulla vita di un fotografo vissuto nell’Italia di un altro tempo.

Dopo l’esordio su internet, in cui le fotografie venivano pubblicate in anonimato, Stefano Corso pubblica il libro che racconta una parte di storia del nostro paese e da che occhio è stata immortalata.

Innanzitutto, come si è sviluppata la tua passione per la fotografia?

Ho iniziato a fotografare a 12 anni con una Pentax di famiglia e periodicamente negli anni una nuova macchina fotografica divenne un regalo ricorrente. Non sapevo nulla di tecnica ma mi piaceva scattare. Con l’avvento del digitale la tecnica è cambiata, ma la passione per la fotografia no, tanto da diventare il mio lavoro. La fotografia analogica continua comunque a essere presente nella mia vita per foto e lavori personali.

Cosa ti ha spinto a dare vita a questo progetto?

L’amore per la fotografia d’epoca e per la storia d’Italia. Abbiamo acquistato i negativi insieme a un gruppo di amici praticamente a scatola chiusa, dopo averne visionati non più di una decina. Durante il processo di acquisizione e inversione digitale dei negativi si è rivelato davanti ai nostri occhi un piccolo tesoro di fotografie e di storia del nostro Paese. I negativi coprono quasi tutta l’Italia tra il 1907 e il 1931. Mi è sembrato importante cercare di scoprire di più e tentare di valorizzare questo archivio.

Come ti sei imbattuto nei negativi che poi hanno dato inizio a tutto?

Li ho comprati nel 2016 da un collezionista romano, una persona fantastica con cui sono diventato amico. Ero andato da lui per comprare una macchina analogica e ho trovato altro: una finestra privilegiata e inaspettata sul passato. Tonino, questo il suo nome, aveva un negozio sulla Tuscolana, noleggiava vecchie macchine fotografiche per il cinema. Se dovevi girare un film anni 40, per esempio, in cui erano presenti fotografi, lui forniva consulenza e ti affittava l’attrezzatura necessaria.

Quattro Canti – Palermo

Perché il nome Cufter? Cosa significa e perché l’hai scelto?

Nasce per gioco durante le prime fasi della ricerca e diventa l’alias per tutte quelle foto a cui non riuscivamo a dare un’identità e una collocazione geografica. La collezione è composta di poco meno di 6700 negativi stereoscopici (tridimensionali) che abbiamo riconosciuto quasi nella loro totalità. Solo 250 sono ancora un mistero. Comunque per sapere come è nato il nome di Cufter dovete leggere il romanzo, in cui viene raccontata la nostra ricerca e l’avventurosa vita dell’autore dell’archivio.

Nel 2020 hai iniziato a pubblicare sui social queste fotografie inedite che appartengono a un’altra epoca, a un’altra Italia, perché hai scelto proprio i social per lanciare questo progetto?

Eravamo in piena pandemia, i nostri luoghi abituali per le ricerche (biblioteche, archivi e musei) erano chiusi e decidemmo di cominciare a pubblicare le foto su internet per vedere se destavano lo stesso interesse e curiosità che era stata mossa in noi. O meglio, proprio Cufter in persona inizia a pubblicare le sue foto, raccontando qualche dettaglio della sua vita e parti d’Italia scomparsa. Viene creato un personaggio misterioso, un originale influencer di inizio secolo, con un nome di fantasia. Ovviamente anche la nostra identità viene celata. Negli anni successivi abbiamo ricevuto anche complimenti da alcuni studiosi di fotografia per avere promosso la fotografia d’epoca e un archivio inedito divulgando parte del contenuto con una metodologia moderna e facendo incuriosire un pubblico vasto.

Cosa rende lo sguardo di Cufter diverso da tutti gli altri?

Lo sguardo di Cufter – Carlo Coretti (il vero nome è stato svelato con l’uscita del romanzo) è quello di un irredentista triestino trasferitosi a Roma dopo aver trascorso, ancora minorenne, alcuni anni in una prigione austriaca per reati politici. Era un appassionato di fotografia o meglio di stereoscopia, tecnica questa che nei primi anni del novecento iniziava a essere fuori moda. La fotografia moderna stava prendendo altre direzioni. Per rendere al meglio la tridimensionalità nelle foto con la stereoscopia il fotografo aveva necessità di mettere gli elementi della sua composizione fotografica su piani diversi. Con l’avvento di lastre più sensibili alla luce, l’uso di un treppiede non era obbligatorio e il nostro Cufter si trasformò in un fotografo di strada moderno, con macchina a mano libera, in cui le sovrapposizioni di elementi anticiparono di anni le tendenze della fotografia di reportage odierna.

Piazza dei Martiri – Napoli

Guardare queste foto è come avere un accesso inedito al backstage di un’intera epoca storica ed è molto bello come nelle foto pubblicate su Instagram la gente cerchi di riconoscere posti che ora sono invecchiati o addirittura non più esistenti, ti aspettavi questo feedback?

Non avevo idea di quale sarebbe stata la risposta del pubblico al progetto. La vera sorpresa è che si è creato un dialogo tra le epoche: Cufter interagisce con i nostri contemporanei, per di più nel linguaggio della sua epoca, dando del lei a tutti e con una cortesia di altri tempi. In questi quasi tre anni di presenza online Cufter ha stretto numerose amicizie in diverse zone d’Italia con cui intrattiene “corrispondenze” e l’aiuto del pubblico nell’identificare alcune foto misteriose è stato determinante, trasformandolo di fatto in un progetto collaborativo e diffuso.

Nel tuo sito web scrivi che la tua ricerca visiva è incentrata sul concetto di solitudine umana, quanta ne hai trovata in Cufter e nel suo lavoro?

Non molta in realtà, Cufter era una persona che viaggiava di continuo, molte volte in solitaria altre in compagnia della moglie, ma sempre immerso nella vita sociale e culturale dell’Italia di inizio secolo. Più che la solitudine mi è parso evidente il suo grande amore per la nostra nazione di cui divenne cittadino solo dopo la fine della prima guerra mondiale, con la sconfitta e dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico. Tutta la sua produzione fotografica è incentrata unicamente nel raccontare le bellezze della nostra Italia, con un occhio esperto di fotografo, le composizioni sono ineccepibili così come le foto di architettura o di documentazione, anche loro parte importante del suo lavoro.

Cosa ti ha insegnato Cufter?

Mi ha insegnato ad appassionarmi alla storia di inizio secolo, spingendomi ad approfondire le differenze con la nostra epoca per quello che riguarda i mutamenti urbani e a scovare piccole storie dimenticate che emergono dalle sue foto, che “lui” puntualmente ricorda pubblicando sui social. Appena posso vado a ri-fotografare gli stessi luoghi fotografati da lui riprendendoli dal suo identico punto di vista. Molto spesso quei luoghi li ho visitati prima nelle sue foto che dal vivo.

Attualmente quali sono i lavori che stai portando avanti?

La ricerca su Carlo Coretti ancora non è finita, sta emergendo nuovo materiale al momento in fase di studio. Per quello che riguarda me, al di là del normale lavoro di fotografo, continuo a sperimentare in analogico, studiare nuove tecnologie per cercare di portare la fotografia tridimensionale dell’epoca all’interno di spazi virtuali tramite la fotogrammetria, inoltre, da alcuni anni, mi sto occupando di produzioni e montaggio video. Insomma faccio di tutto per non annoiarmi.


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