Di redazione Wj / Foto Naga
L’unità mobile percorre indisturbata le strade della città. È appena calata la sera, ma potrebbe essere notte inoltrata per il silenzio che aleggia attorno. Sull’asfalto deserto, i semafori si strizzano l’occhio l’un l’altro, regolando un traffico fantasma. Milano al tempo del Covid. Arrivata a destinazione, l’accoglienza monta un tavolino sul marciapiede dove verranno appoggiati guanti, gel per le mani, mascherine, termometro e cartelle mediche da compilare per ogni visita, mentre il personale santario prepara il suo studio sul camper.
Le persone più bisognose
Una malattia respiratoria a carattere epidemico come il Covid-19 può facilmente diffondersi in aree sovraffollate e con precarie condizioni igieniche, quali sono gli accampamenti informali. Le persone che vivono in questi ambienti hanno maggiori probabilità di ammalarsi e minori opportunità di essere curate e di guarire. Per molti di loro è un lusso poter chiamare un dottore quando stanno male, lavarsi le mani ogni volta che occorre o praticare il distanziamento sociale così necessario per fermare la trasmissione della malattia. E proprio le persone migranti, i rifugiate e richiedenti asilo sono alcune tra le categorie maggiormente vulnerabili, che non sanno sempre a chi rivolgersi per trovare informazioni e assistenza adeguate e a cui si aggiunge il fardello – pesante e spesso traumatico – dell’esperienza migratoria.
L’attività di prevenzione
“Le persone che si rivolgono a noi hanno già una coscienza sulla prevenzione, rispettano le distanze, indossano le mascherine. Sono disponibili a disinfettarsi le mani e a farsi misurare la temperatura prima di salire sul camper per essere visitate. Le patologie che di solito riscontriamo sono legate alla condizione di marginalità nella quale le persone sono costrette a vivere, dal mal di denti alle ferite agli arti inferiori, causa la traversata a piedi della rotta balcanica, oltre a importanti stati di disagio psicologico. Non abbiamo riscontrato sintomi che possano essere legati al Covid-19. Sono preoccupate e spesso hanno bisogno di rassicurazioni e informazioni. Ultimamente almeno un paio di pazienti visitati sono regolarmente iscritti al Sssn, ma con difficoltà di accesso al proprio medico curante” spiega Simonetta, medico volontaria del Naga.
Coprire le zone d’ombra
“Un’associazione fa delle cose concrete, non siamo né un partito né un sindacato e non dobbiamo sostituire pezzi di Stato mancante. Il volontariato deve trovare nuove ricette, coprire zone d’ombra, sperimentare, praticare e fare luce su fenomeni nascosti” le parole di Italo Siena, medico di base e fondatore del Naga. L’associazione nata nell’87 come ambulatorio rivolto a persone che non potevano accedere al Ssn ha allargato i suoi servizi con le due unità di strada e gli interventi in carcere. A oggi con i suoi 400 volontari e volontarie garantisce assistenza sanitaria, legale e sociale gratuita a persone cittadine straniere irregolari e non, a rom, sinti, richiedenti asilo, rifugiate e vittime della tortura, oltre a portare avanti attività di formazione, documentazione e lobbying sulle istituzioni.
Andare avanti
“In questo particolare momento”, racconta Sara, volontaria dell’unità di strada del Naga “Abbiamo deciso di continuare le nostre attività, soprattutto l’ambulatorio in sede e le uscite con il camper di Medicina di Strada negli insediamenti irregolari della città, per sgravare le strutture sanitarie da prestazioni non urgenti. dato che i Pronto soccorso sono l’unico accesso al Ssn che le persone senza documenti hanno, oltre a offrire informazioni su quali siano i sintomi e come comportarsi nel caso. Stiamo andando avanti in maniera ridotta, il nostro personale medico volontario è impegnato nelle varie strutture con le restrizioni che conosciamo, così le aperture ricadono sui medici in pensione. Non essendo in numero elevato, riusciamo a garantire solo due giorni di apertura alla settimana e un’uscita settimanale dell’unità di strada, che cambiano a seconda delle disponibilità del personale sanitario. Questo comporta anche un possibile rischio di burnout. Viene fatto un primo screening all’entrata dell’associazione e una volta capito il bisogno se è la prima volta, viene compilata dalle volontarie dell’accoglienza una scheda medica da consegnare poi durante la visita dove verrà riportata la diagnosi.
Reinventarsi l’attività
A causa del lockdown, i servizi che non appartengono alla sfera sanitaria, hanno dovuto reinventarsi, così come le attività in ambito legale, sociale e amministrativo. “Le richieste vengono raccolte durante l’apertura dell’ambulatorio, le volontarie in accoglienza chiamano le persone che si sono date disponibili da casa prendendo con loro appuntamenti telefonici. Trattiamo i casi urgenti, dato che in questo periodo sono state posticipate tutte le udienze per i rinnovi dei permessi di soggiorno e per lo status di rifugiato” racconta Cesare, volontario dell’area legale del Naga. “Nell’ultimo periodo le persone che vediamo sono prevalentemente del Nord Africa, marocchini, algerini, egiziani, qualche rom rumeno, ucraini. Sono soprattutto uomini. Non sono diffidenti, molti di loro sono già stati al Naga, per chi è alla prima volta, è perchè qualcuno li ha indirizzati e parlato dell’associazione. Vediamo meno persone del solito, ma questo a causa delle nostre aperture che cambiano di settimana in settimana e della loro paura negli spostamenti”, continua Simonetta. Muoversi per Milano è sempre stato un problema per le persone migranti a causa della scarsa conoscenza della città, della lingua e per lo stigma, motivi che hanno portato alla nascita delle due unità di strada. Ma se per Medicina di Strada l’attività continua, per Cabiria, che si occupa di interventi di prevenzione e informazione alle persone che si prostituiscono, si è dovuta modificare “Non potendo giustificare le nostre uscite – prosegue Sara – lavoriamo da casa con i contatti che abbiamo, stiamo costruendo una rubrica, dato che il numero telefonico non era essenziale per l’attività che svolgiamo. Uno degli aspetti a cui teniamo incontrando le ragazze, è quello di renderle consapevoli che hanno dei diritti e che possono esercitarli, ma non sempre abbiamo dei riscontri, così siamo rimaste felici di apprendere che molte ragazze già conoscevano i servizi a disposizione sul territorio come la consegna di pacchi alimentari”.
L’accesso ai beni alimentari
Il Naga ha dato risposta ai bisogni essenziali di persone che ancora una volta e soprattutto in questa situazione di emergenza, sono escluse dall’accesso agli aiuti e ai servizi pubblici perché fuori dalla normalità presupposta dalle direttive in quanto privi di documenti, di alloggi e di lavori “regolari”. Bisogni che, al tempo del Covid, riguardano anche il diritto più essenziale di tutti e, cioè, l’accesso a generi alimentari necessari per il sostentamento. “All’inizio della pandemia, ci siamo ritrovati con entrambe le unità di strada a consegnare derrate alimentari a circa 200 abitanti di alcuni stabili milanesi. Si tratta di un’attività estranea a quelle solitamente svolte dall’associazione, ma di fronte alla richiesta che ci era stata rivolta abbiamo deciso di intervenire perché non si sono trovate realtà istituzionali disposte a farlo. Questo è accaduto perché gli stabili dove siamo stati sono occupati”, racconta Cesare. “Da quando il Comune ha deciso di intervenire anche in queste situazioni, raccogliamo e segnaliamo le persone che ce ne fanno richiesta. Monitoriamo telefonicamente la ricezione dei pacchi alimentari”.
Approccio inclusivo
Questa pandemia può essere controllata solo con un approccio inclusivo, capace di proteggere il diritto alla vita e alla salute di ogni individuo. Rom, migranti, rifugiate: tutte persone prive di documenti e di uno status regolare, sono vulnerabili in modo sproporzionato rispetto al rischio di esclusione, che riguarda anche la comprensione della lingua, ancor di più in un momento come questo, dove le informazioni circolano solo in italiano e “per questo motivo insieme ad altre realtà, come il grande colibrì, abbiamo tradotto in 19 lingue diverse tutta una serie di informazioni essenziali e distribuite sui vari canali social, riprese anche dal New York Times”, racconta ancora Cesare.
Le differenze sociali che aumentano
“Mentre cerchiamo di districarci nella fase 2, non possiamo dimenticare che questa pandemia altro non ha fatto che acutizzare le differenze di classe, tra chi detiene diritti e chi vive nella marginalità. Tornare alla normalità vorrebbe dire rivivere tutto ciò che ci ha condotto a questa situazione. ‘Sposiamo la causa’ è una delle campagne del Naga. Allora sposiamola facendo in modo che la parola privilegio non lasci il posto al diritto, alla salute, al movimento, a una vita dignitosa e all’autodeterminazione delle persone”.