Anche la salute nei penitenziari va tutelata

Daniele Napolitano e Olivia Brighi hanno documentato le rivolte carcerarie di inizio marzo. La presa in carico della salute negli istituti non può essere di secondo piano

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Di Olivia Brighi e Daniele Napolitano / Foto degli autori

La notte del 7 marzo nel penitenziario di Napoli e quello di Salerno inzia una protesta con battituree materassi dati alle fiamme.Nel corso della notte successiva, anche nelle carceri di Cassino e di Frosinone, inizia una protesta serale, che diventerà un’evasione di massa da quest’ultimo. Le proteste nascono in risposta alle modalità e alla impossibilità di attuazione delle misure di prevenzione alla diffusione del Corona virus varate dal Consiglio dei ministri con il decreto legge del 23 febbraio 2020, n.6 ed estese con il Dpcm 8 marzo 2020.

Se lo Stato crea pazienti di serie A e di serie B

Non solo le misure previste per tutti i cittadini non venivano assicurate ai detenuti e ai lavoratori all’interno del carcere, ma, secondo le testimonianze dei parenti dei detenuti (e dei detenuti stessi quando possibile), nessuna mascherina è stata consegnata e non veniva effettuato nessun controllo su chi entrava e chi usciva dall’istituto. Chi risultava sospetto di contagio veniva messo in regime di isolamento e non venivano effettuati tamponi ai detenuti. Venivano inoltre annullati i colloqui con gli esterni, recidendo di fatto i contatti dei reclusi con i propri familiari, e non veniva prevista nessuna forma di pena alternativa per i detenuti malati e per quelli anziani, maggiormente esposti al rischio in caso di contagio.Tutto ciò accade in un clima dove le storiche condizioni di affollamento e le scarse misure igieniche, complicano la situazione e agevolano eventi di contagio.

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Daniele Napolitano

Le proteste a Bari, Pavia, Bologna, Roma e Modena

Stessa storia si ripete la notte dopo al carcere di Bari dove scoppia una vera e propria rivolta, con fiamme che distruggono diverse aree del penitenziario. Il 9 marzo a Pavia vengono sequestrati due agenti nel corso di un’altra sommossa, nel carcere di Modena invece durante le proteste muiono 9 detenuti, ufficialmente per overdose, dopo un furto all’interno dell’infermeria, versione che convince poco i parenti e gli amici dei detenuti. Vercelli, Alessandria, Palermo, Foggia, da cui sono riusciti ad evadere decine di detenuti, Rieti, dove al momento si contano 4 morti, Poggioreale, San Vittore e Bologna, che conta due morti tra i detenuti, dove i reclusi sono saliti sui tetti bruciando materassi e rendendo di fatto inagibile parte del carcere. Non mancano all’appello le carceri romane di Rebibbia e Regina Coeli, che hanno vissuto giornate di altissima tensione, con proteste sia dentro che fuori dagli istituti penitenziari, con il blocco di via Tiburtina e la carica della polizia nei pressi del ministero della Giustizia, in pieno centro di Roma, tra i momenti piu eclatanti.

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Daniele Napolitano

Effetto domino

Come per un effetto domino le proteste arrivano a coinvolgere a oggi circa una cinquantina di istituti penitenziari in tutta italia e contano 14 morti tra i detenuti. Quello che viene subito messo in luce dalle proteste è che dietro alle motivazioni sanitarie, assolutamente legittime, ci sono anni di malcontento dovuto al sovraffollamento, alle violenze subite, all’isolamento forzato. Basti pensare che lo scorso anno sono stati più di 67 i morti di (presunto) suicidio in carcere e che ci sono 10.000 posti in meno di quelli necessari ad evitare il sovraffollamento.

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Olivia Brighi

Le richieste

Le richieste di chi protesta, sia dentro che fuori dal carcere, sono di indulto e amnistia per i reati minori e per le pene in dirittura d’arrivo, come misura di contenimento del coronavirus, e la concessione di misure alternative alla detenzione, come la misura della detenzione domiciliare, come è stato fatto in Iran, dove sono stati concessi i domiciliari a circa 85.000 detenuti.

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Olivia Brighi

Le condizioni carcerarie

In una lettera indirizzata al governo, Antigone, Anpi, Arci, Cgil e gruppo Abele scrivono: “I posti disponibili nelle carceri sono 50.931, cui vanno sottratti quelli resi inagibili nei giorni scorsi. I detenuti presenti, alla fine di febbraio, erano 61.230. Alcuni istituti arrivano a un tasso di affollamento del 190 per cento. Ogni giorno i detenuti sentono dire alla televisione che bisogna mantenere le distanze, salvo poi ritrovarsi in tre persone in celle da 12 metri quadri. Le condizioni igienico-sanitarie sono spesso precarie. Nel 2019 Antigone ha visitato 100 istituti: in quasi la metà c’erano celle senza acqua calda, in più della metà c’erano celle senza doccia. Spesso mancano prodotti per la pulizia e l’igiene. Con questi numeri, se dovesse entrare il virus in carcere, sarebbe una catastrofe per detenuti e operatori”.

L’intervento del Governo con il decreto “Cura Italia”

A seguito delle proteste, che continuano ad andare avanti se pur in forma ridotta, il 16 marzo il governo ha emanato il decreto “Cura Italia” che prevede l’accesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare per i detenuti che debbano scontare fino a 18 mesi di pena, con obbligo di braccialetto elettronico in caso di pena superiore a 6 mesi. Inoltre viene consentito ai detenuti già in regime di semilibertà di avere la concessione di permessi premio in modo da non essere obbligati a rientrare la sera al termine della giornata lavorativa negli istituti di pena. Da queste misure sono esclusi coloro che hanno partecipato alle rivolte dei giorni scorsi, messi sullo stesso piano di coloro che sono accusati di reati gravi e recidivi, anche questi lasciati fuori dalle nuove misure.

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Daniele Napolitano

Misure insufficienti: la lettera a Mattarella

Le misure previste però non sembrano essere sufficenti, sia secondo il parere delle associazioni sia secondo i parenti dei detenuti e delle detenute. Antigone commenta così: “Il rischio è trasformare i luoghi di detenzione in lazzaretti manzoniani, mettendo consapevolmente a rischio la vita di chi li abita (persone detenute, ma anche poliziotti penitenziari, operatori sanitari, educatori e direttori) e dei loro famigliari. “Nella giornata del 19 marzo i detenuti mandano una lettera al Presidente della Repubblica chiedendo “che vengano estese le misure alternative fino a 4 anni, perché ciò permetterebbe una migliore gestibilità nel caso in cui il Covid-19 scoppiasse senza freni all’interno di quese strutture, visti i casi già appurati, e visto che non siamo carne da macello ma abbiamo mogli, figli, madri (anche loro dentro una prigione virtuale) a casa che sperano di rivederci sani e salvi (non dentro unabara). Questa cosa gliela urliamo a gran voce”.

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Olivia Brighi

Proteste anche all’estero

Mentre si registrano i primi casi di contagio, a Torino un agente risulta positivo e ci sono due casi sospetti, le proteste continuano e si allargano all’estero. Nelle carceri Spagnole è iniziato uno sciopero della fame. In Francia sale la tensioni con proteste diffuse in diversi penitenziari, come anche sta accadendo in Belgio.

Riemerge la cattiva gestione delle carceri

Il carcere, al pari altre istituzioni sociali come il lavoro, la salute, la mobilità, in questo contesto di emergenza straordinaria, mostra ancora di più le sue contraddizioni, mostrando alla società civile tutte le sue problematiche accumulate in anni di male gestione e incuranza del rispetto dei diritti dei detenuti e delle detenute. Il rammarico, come sempre, è che anche in questo caso si affronta il problema con incredibile ritardo e in maniera superficiale, solo dopo che hanno perso la vita 14 persone, durante le proteste diffuse in tutto il Paese. La speranza è che questa situazione abbia acceso i riflettori su una questione la cui soluzione è impossibile da rimandare.