Altamura 1980. Mostra di Roberto Roda

Matera, capitale europea della cultura 2019, ospita una mostra dell’ etnografo e fotografo ferrarese Roberto Roda, che per oltre 30 anni è stato anima propulsiva delle ricerche antropologiche e visuali del Centro Etnografico del Comune di Ferrara.

di Giulio Di Meo

L’etnofotografo ferrarese Roberto Roda espone a Matera un inedito reportage di 40 anni fa. La mostra, intitolata Altamura 1980. Improvvisazioni fra fotografia e performnce, risulta inserita  nel programma  di View 2.0 Narrazioni Liquide, festa e network su temi di antropologia visuale e urbana, che dopo una prima parte svoltasi  con successo fra  Ferrara e Argenta nel mese di marzo ultimo scorso approda ora nella città dei Sassi dall’8 al 15 maggio, con nuove ulteriori proposte. 

A Matera, nel Campus dell’Università della Basilicata, vengono presentate le immagini,  ancora inedite, di un insolito “reportage” fotografico che Roda realizzò ad Altamura quasi 40 anni fa. In quel periodo l’autore non era ancora approdato al Centro Etnografico Ferrarese, ma si era già messo in luce nell’universo della fotografia italiana: due anni prima era stato fra i pochissimi fotografi italiani ufficialmente accreditati presso la Santa Sede per seguire e documentare i funerali di Papa Paolo VI.

Nell’agosto 1980 Roda, diretto a Matera  per un servizio fotografico sui Sassi, decise, su consiglio di Antonio Caggiano, allora cronista culturale del Carlino-Ferrara, di fermarsi alcuni giorni nella vicina Altamura. L’intenzione era quella di documentare momenti di vita quotidiana della cittadina pugliese, che nel caldo estivo prendeva vita nelle ore serali.

Roda entrò nel Claustro di Altamura (il centro storico della cittadina pugliese) che era già buio. Le condizioni di luce erano fotograficamente proibitive. Un ragazzino si avvicinò al fotografo e, amabilmente spavaldo, gli chiese: “Che mi fai ‘na foto?”. Poi alla richiesta associò anche i suoi amici. In breve arrivarono a raccolta amichetti e amichette. Nonne, genitori, vicini di casa dapprima esercitarono una comprensibile e discreta azione di controllo sulla situazione (Roda era pur sempre un estraneo) poi anche loro decisero di farsi ritrarre, cedendo alla lusinga del “gioco”. Gli spazi poco illuminati del Claustro diventarono il palcoscenico di improvvisate performance spontanee, in cui bambini, adolescenti e adulti diventavano attori e pure registi. Quanti si ponevano davanti all’obbiettivo non venivano sistemati in posa dal fotografo, perché volutamente Roda lasciava loro la più ampia libertà. Potevano, infatti, decidere come, dove e con chi posizionarsi, finendo, inevitabilmente,  per raccontare molto di sé e del sistema sociale in cui erano inseriti.

La seduta di ritrattistica mutò ben presto in una documentazione di teatralità sociale. La decisione di lasciare libertà di posa e di collocazione implicava che i soggetti scegliessero le posizioni senza curarsi di quei punti di luce pubblica che avrebbero potuto assicurare una miglior illuminazione dei soggetti (e dunque una miglior resa fotografica). Ma in questo modo, la spontaneità della narrazione “antropologica” che gli abitanti del Claustro regalavano all’etnofotografo, ripagava dell’inevitabile imperfezione delle riprese.

Rimaste inedite sino ad oggi, le foto di Roda riemergono ora dall’archivio personale dell’autore per volontà del Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università della Basilicata (prof. Francesco Marano) e del Laboratorio di Studi Urbani dell’Università di Ferrara (prof. Giuseppe Scandurra). Tutta ferrarese la realizzazione della mostra che ha visto al lavoro Emiliano Rinaldi,  per la scansione digitale dei negativi d’epoca, la post produzione e l’impaginazione grafica dell’esposizione e Marino Fergnani (Eliotecnica, Ferrara) per la stampa fine art delle immagini.